Simone Passeri | Chernobyl – La zona | di Barbara Martusciello

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Il 26 aprile 1986 segna una data spartiacque tra un prima e un dopo la consapevolezza della nostra vulnerabilità come esseri umani, come collettività e come Mondo; e anche della nostra pericolosità su questa terra, la quale però cerca di reagire e di resistere.

È proprio quel giorno, alle ore 1:23, che esplode il reattore numero 4 della centrale di Černobyl’, che causerà un incendio e poi un’enorme nube radioattiva, che si propagherà con esiti terribili. Si rivelerà, infatti, come il più catastrofico incidente accaduto in una centrale nucleare.

La città Ucraina – allora compresa nella Repubblica Socialista Sovietica – è frettolosamente evacuata, 336mila abitanti sono costretti a lasciare tutto: le case e le cose, il lavoro, la scuola, i luoghi e una quotidianità che lì non tornerà mai più. La diffusione di materia radioattiva fa subito vittime tra la popolazione e i soccorritori e si diffonde giungendo anche all’area orientale e fino all’Europa occidentale: gli effetti sulla salute delle persone, lì e molto più lontano, sono devastanti anche a lungo e lunghissimo termine e non sono mai stati precisamente indagati e calcolati.

Tutto è contaminato e Černobyl’ resta vuota e disabitata dall’essere umano, per decenni; la Natura prenderà via via il sopravvento, si riapproprierà dei suoi spazi, avvilupperà le macerie, entrerà nelle scuole e nei centri sportivi spopolati, nelle fabbriche ferme, occuperà gli appartamenti, avvolgerà il grande radar Russian Woodpecker, ricoprendo tutto di nuova vita: non antropizzata, resiliente. Qualche animale libero, alcuni uccelli, un cane, testimoniano che c’è una speranza di sopravvivenza…

È così che ha immortalato Černobyl Simone Passeri: silente, immobile, un fantasma, con i segni dell’esistenza e dell’azione umane come indelebile prova di una normalità prima e di una storia drammatica poi ma anche di una trasformazione dell’habitat che l’autore ha eternato.

È interessante notare che la prima formazione di Passeri, precedente a quella nel campo della Fotografia, è in ambito scientifico, con studi in ingegneria nucleare; evidentemente l’affaire- Černobyl’ non poteva non coinvolgerlo anche da un punto di vista curriculare, culturale ed emotivo.

Andato sul luogo nel 2019 poco prima del periodo pandemico, si è dotato di fotocamera di medio formato e a pellicola: un’apparecchiatura non troppo agile da usare in un sito ancora fortemente contaminato e in cui non conviene sostare troppo a lungo. La scelta analogica ha evidentemente un significato preciso: l’autore ha preteso da sé la massima concentrazione e attenzione prima dello scatto, la rinuncia ad ogni tentazione bulimica e predatoria in cui il mezzo digitale può spesso far cadere chi scatta, in favore, piuttosto, di inquadrature meditate, a cui ha rispettosamente dedicato il tempo e la distanza giusti per un approccio più riflessivo ed empatico con quella narrazione.

Evitando accuratamente i gruppi di visitatori da “dark tourism”, restando lui tutto solo in quegli spazi feriti, tossici e ammalorati ma parallelamente rivelatisi rigogliosi, di una flora non addomesticata, selvaggia, libera di agire, Simone ha realizzato rappresentazioni per nulla omologate, prive di retorica e di spettacolarizzazione pur se con una loro profonda, commovente, mai compiaciuta bellezza. Anche la scelta del bianco e nero lo conferma, rimarcando la fuga da ogni estetizzazione.

Simone Passeri ci consegna, quindi, un fotoreportage e photo-Landscape che, a una maggiore attenzione, potrebbero appartenere a un altro genere fotografico: quello del Portrait. Questo perché in ogni elemento impresso nella pellicola si percepisce il ricordo delle persone che lo hanno usato, animato, che hanno, insomma, lasciato ovunque progetti, oggetti, tracce, memoria… In questo senso Chernobyl – La zona è il ritratto della sua umanità di prossimità ma anche di intere generazioni che si sono susseguite e che oggi sono più sensibili ai pericoli del nucleare, agli articolati problemi ecologici, alla possibilità di coesistenza pacifica tra specie – esseri umani e Natura – e alle annose questioni morali e politiche.

25 foto in mostra ci danno una panoramica essenziale di un territorio, di una sciagura, di scelte umane e della Storia, ma aprono anche al dubbio, indicano un monito connesso al Futuro; infatti, anche proprio guardando quel che la guerra di Putin ha prodotto e sta ancora generando in Ucraina, e quindi quel che Černobyl’ è tornata a rappresentare insieme a una nuovamente incombente paura dell’atomica, questa serie fotografica di Simone Passeri ci appare quanto mai attualissima.

Nick Út nel 1972, con le sue istantanee sul Vietnam e con la famosa “Napalm Girl” a Trang Bang – che gli valse  il Pulitzerl’anno successivo – immortalò, come ebbe a dirmi, “the fear” e una “pleading for peace”. Simone Passeri ha fotografato, invece, una calma e un’armonia ma del tutto apparenti in cui quella, “la paura” traspare in modo altrettanto agghiacciante così come risulta chiara la richiesta di una pace e concordia oggi più che mai non negoziabili.